La data del 25 novembre è una data verso la quale non si può rimanere indifferenti, non più. E’ una data in cui non si può non parlare della tematica relativa alla violenza di genere, intesa come una serie distinta di azioni fisiche, sessuali, di coercizione economica e psicologica che si verificano all’interno di una relazione intima, attuale o passata. Queste condotte comportano danni sia di natura fisica che psicologica ed esistenziale. La situazione in Italia fa sì che si parli di violenza di genere con riferimento diretto alla violenza sulle donne.

La violenza che l’uomo esercita sulle donne può essere di vari tipi:

  • Violenza fisica: percosse, sevizie fisiche, ecc…;
  • Violenza verbale: insulti, ingiurie, ecc…;
  • Violenza sessuale: comportamenti che possono essere raggruppati in due categorie. La prima è quella in cui si costringe una donna a fare sesso contro la sua volontà e la seconda è quella di forzarla ad avere un rapporto sessuale attraverso modalità non desiderate;
  • Violenza economica: ostacolare o negare l’accesso al reddito familiare o ai conti bancari e nella negazione del diritto ad avere, o a mantenere, un’occupazione;
  • Violenza psicologica: comprende atteggiamenti intimidatori, minacciosi, vessatori, denigratori e tattiche di isolamento messi in atto dal partner. L’influenza che il partner esercita sulla vittima utilizzando varie tecniche comportamentali, emozionali e cognitive diminuisce la capacità critica, le certezze e la fiducia in sé stesse;
  • Violenza domestica o IPV (Intimate Partner Violence): comportamento abusante o coercitivo da parte del partner con lo scopo di avere il controllo totale sulla vita della donna. È caratterizzato da una certa cronicità e continuità che, nel tempo, causano gravi danni alla vittima;
  • Stalking: comprende numerose azioni tra le quali possiamo rilevare continue telefonate, anche mute, ad ogni ora del giorno e della notte; invio di un numero consistente di messaggi, amorosi o minacciosi, verso il cellulare della vittima; pedinamenti; presenza costante davanti casa o davanti il luogo di lavoro o davanti altro luogo frequentato dalla vittima; aggressioni fisiche; utilizzo di terzi per riferire messaggi offensivi; richieste di informazioni a parenti e amici con lo scopo di conoscere ogni movimento della vittima; mancata corresponsione degli alimenti stabiliti dal giudice.

La violenza domestica, che non è solo violenza fisica, ma anche psicologica, sessuale ed economica, è la forma più comune di abuso contro la donna.

Nel 1979, Lenore Walker, descrive il ciclo della violenza individuando tre fasi:

  • Fase di crescita della tensione: questa fase è caratterizzata dall’irritabilità dell’uomo, il quale la attribuisce a difficoltà quotidiane. In questa fase tutto quello che fa la compagna lo infastidisce e lei, avvertendo lo stato di tensione, si sforza di essere gentile col fine di mantenerlo calmo. La violenza, in questa prima fase, non si manifesta ma si intravede negli atteggiamenti, nella mimica e nel tono di voce;
  • Fase acuta della violenza fisica: in questa fase si manifesta la violenza fisica. L’uomo perde il controllo di sé stesso e urla, oppure lancia oggetti, insulta e minaccia la compagna dalla quale potrebbe anche pretendere un rapporto sessuale per sottolineare il proprio dominio. Difficilmente la donna reagisce poiché si sente impotente e impaurita dal fatto che una sua reazione potrebbe peggiorare la situazione;
  • Fase di scuse: il rimorso segue la violenza. L’uomo tenta in tutti i modi di liberarsi da questo rimorso minimizzando le sue azione oppure dando la colpa alla compagna (“sei stata tu a provocarlo”) oppure potrebbero attribuire il loro comportamento a cause esterne, quali ad esempio l’uso di alcol oppure lo stress lavorativo. Qui la donna si sente in colpa e pensa che se in futuro starà più attenta e si comporterà meglio tutto ciò non accadrà. Quando l’uomo chiede scusa e giura che non succederà più è sincero, tuttavia questo non significa che non lo rifarà;
  • Fase della luna di miele o della riconciliazione: all’idea di correre il rischio di poter perdere la sua donna, l’uomo si mostra dolce, attento, premuroso e innamorato. La conseguenza è che la donna ritrova in lui quella persona della quale, in passato, si era innamorata e, sperando che il suo partner ritorni quello di un tempo, si sente motivata a rimanere con lui.

Nell’elaborare le tipologie delle persone violente la ricerca si è basata unicamente su autori di sesso maschile. Gli studi condotti, fino ad ora, nell’ambito della violenza domestica, hanno evidenziato quattro tipologie di uomini violenti, suddivisi a seconda della gravità del maltrattamento:

  • Family-only-batterer: gli uomini che appartengono a questa tipologia non sono quasi mai violenti al di fuori del contesto familiare e, pertanto, non manifestano pubblicamente comportamenti perseguibili penalmente. Limitano i loro atti di violenza alla famiglia e agiscono a seconda della situazione. La frequenza e la gravità degli atti che commettono è piuttosto contenuta. Dimostrano scarse competenze sociali nella relazione, sopportano male lo stress e hanno difficoltà a esprimere le proprie emozioni. Quando ricorrono alla violenza se ne pentono e soffrono per il comportamento adottato. Da bambini sono stati raramente vittime di violenza, che in genere tendono a rifiutare. In questi casi la terapia familiare ha buone probabilità di successo con un basso tasso di recidiva;
  • Dysphoric o borderline-batterer: gli uomini classificati in questa tipologia ricorrono alla violenza per esercitare il proprio controllo e il proprio potere. Sono caratterizzati da una personalità instabile, vivono sentimenti di paura e stati depressivi e a volte soffrono di problemi dovuti al consumo di alcol e droghe. Presentano un comportamento ambivalente nei confronti della propria partner e sono dipendenti dai rapporti sentimentali. Esercitano violenze più gravi rispetto agli aggressori della tipologia family-only-batterer e possono manifestare comportamenti violenti e penalmente rilevanti anche all’esterno della famiglia. Diversamente dalla prima tipologia, i tipi disforico/borderline presentano più sovente posizioni misogine e favorevoli ai comportamenti violenti. Reagiscono bene alle terapie, specialmente se focalizzate sull’elaborazione del loro vissuto di violenza;
  • Generally violent e anti-social batterer: in questa tipologia rientrano gli uomini generalmente violenti e antisociali che presentano un elevato potenziale di violenza in diversi contesti e compiono abusi in diverse costellazioni relazionali. Spesso questi soggetti hanno precedenti penali ed esercitano gravi violenze all’interno del rapporto di coppia. Per loro il maltrattamento è uno strumento per conservare il potere, si dimostrano ostili nei confronti delle donne e hanno una visione rigida della sessualità. Possono essere estremamente manipolatori ma anche affascinanti, mancano di empatia e di competenze sociali. Hanno spesso problemi legati al consumo di alcol e droghe. Non dimostrano mai o solo raramente segni di pentimento, non soffrono per la violenza commessa e non se ne assumono le responsabilità. Spesso nell’infanzia sono stati vittime o testimoni di maltrattamenti. Questa tipologia di uomini violenti reagisce male alle terapie e tende alla recidiva. In questi casi devono essere evitati gli incontri tra l’aggressore e la sua vittima.

Ma perché le donne non riescono a lasciare il loro partner, se questo è violento?

Secondo Lenore Walker la brutalità, la percezione di incontrollabilità, la mancanza di risorse e la superiore forza fisica del partner contribuiscono a creare un senso di impotenza nella vittima. Nel 1980, la Walker, utilizza la teoria dell’impotenza appresa (Learned Helplessness), proposta da Seligman (1967), per dare una spiegazione causale al comportamento passivo che viene tenuto da soggetti in condizioni di forte dolore.

Perché, chi soffre, non abbandona il contesto spiacevole? È questa la domanda che la Walker si è posta per poter affrontare la questione. Secondo la teoria, la vittima diventerebbe soggetto passivo e accetterebbe, così, gli stimoli dolorosi. Secondo la Walker la donna, dunque, rimarrebbe con il suo partner violento pur potendo scappare. Tutto ciò si verifica perché la vittima non possiede la giusta lucidità per valutare ciò che le sta accadendo. Infatti, nella dinamica violenta, il partner dotato di forza fisica tende a creare il senso di impotenza nella vittima, condizionando la vittima a credere di essere incapace di fuggire.

Anche Joseph Carver fornisce un tentativo per spiegare come mai le donne non riescono a lasciare il loro partner violento. Secondo Carver, nella vittima si produrrebbero dei pensieri contraddittori, ad esempio, davanti all’aggressività del compagno, la donna potrebbe pensare che, tutto sommato, lui è pur sempre un buon padre. Vi sono diversi fattori, secondo Carver, che trattengono la donna all’interno di una relazione disfunzionale, tra questi:

  • Investimento emozionale: provare sentimenti, piangere o preoccuparsi spingono la donna a credere che vale davvero la pena di vivere quella relazione proprio perché si sta provando tanta sofferenza che, altrimenti, non avrebbe avuto motivo d’essere;
  • Investimento sociale: la donna potrebbe scegliere di rimanere con il partner per evitare l’imbarazzo nel suo contesto sociale;
  • Investimento familiare: se la coppia ha figli tutte le scelte sono condizionate dalla loro presenza e dalle loro necessità;
  • Investimento economico: esistono molte situazioni in cui il partner violento ha in mano la situazione economica;
  • Investimento nello stile di vita: la vittima non vuole rinunciare alle sue condizioni privilegiate;
  • Investimento nell’intimità: alcune vittime sviluppano una distruzione della loro autostima sia emozionale che sessuale e il partner potrebbe minacciare di spargere delle voci.

Inoltre, secondo Carver, le relazioni violente non iniziano come tali, infatti, la violenza, subentrerebbe in un secondo momento. Tuttavia è possibile individuare alcuni segnali d’allarme che sono tipici del comportamento dell’uomo e che predicono i futuri comportamenti violenti che si verificano, in genere, a distanza di qualche mese dall’inizio della relazione sentimentale e dopo che questa si sia stabilizzata.

Vediamo quali sono questi segnali d’allarme:

  • Attaccamento rapido: è molto facile che l’uomo nel giro di poche settimane manifesta il desiderio di volere un impegno serio, ad esempio potrebbe desiderare di sposarsi o di fidanzarsi con l’intento di convincere la compagna che lui sia la cosa migliore che le sia mai potuta capitare. Inoltre, questa tipologia di uomini, manifestano una certa facilità nell’esternare il proprio amore per la partner;
  • Temperamento aggressivo: minacce, aggressività spropositata verso oggetti o persone, guida pericolosa, risse e scoppi di rabbia sono tutti comportamenti rispetto ai quali, l’uomo, giura che non utilizzerà mai contro la partner. Tuttavia dimostra in pieno la sua capacità di saperli mettere in atto;
  • Tentativo di eliminare il sostegno sociale della partner: l’uomo sente che i parenti e gli amici della partner potrebbero rappresentare un pericolo per la loro relazione e un potenziale aiuto per lei. Di conseguenza tenta di fare allontanare la propria partner dal suo contesto sociale facendole domande ripetitive, accusandola e facendo insinuazioni ogni volta che la propria compagna ha dei contatti con amici o parenti;
  • Dare sempre colpa alla partner: un uomo violento è una persona che non si assumerà mai la responsabilità delle sue azioni e darà la colpa alla sua partner perché la sua rabbia, egli pensa, deriva sempre da un comportamento sbagliato degli altri;
  • Controllo: nelle fasi iniziali delle relazioni con un uomo violento è possibile notare dei comportamenti che la donna legge come sentimenti di normale gelosia, oppure come delle premure nei suoi confronti. Tuttavia, dopo poco tempo, è possibile notare che si tratta di un comportamento ossessivo e paranoico;
  • Test della cameriera: il modo in cui un uomo tratta una cameriera o una qualsiasi altra persona neutrale del sesso opposto ci darà una chiave di lettura di come sarà il suo modo di trattare la propria compagna a distanza di sei mesi dall’inizio della relazione, ovvero dopo la cosiddetta fase della luna di miele. Con questo test è possibile individuare un uomo potenzialmente violento: se maltratta cameriere e altre persone neutre o se si lamenta, protesta, critica e tende a sminuire queste persone allo stesso modo tratterà la sua partner dopo che l’idillio amoroso iniziale sarà sfumato.

Secondo Marie-France Hirigoyen la relazione maltrattante si instaura partendo da una prima fase di seduzione perversa che è necessaria affinché si stabilisca quella forma di condizionamento necessaria alla costruzione dei rapporti disadattavi. Attraverso questo meccanismo la donna viene destabilizzata, si annullano i confini tra sé e l’altro ed inizia a subire senza che vi sia consenso, ad obbedire prima per compiacere il partner e poi per paura della reazione del partner. La vittima si trova così costretta in una posizione di difesa che le fa assumere comportamenti che infastidiscono coloro che le sono accanto, alimentando, in questo modo, l’isolamento messo in atto dal partner.

Di fronte a questo alternarsi di comportamenti atipici, la vittima può sentirsi confusa e anestetizzata fino a giungere a deperimento mentale e fisico. Oppressa da questo meccanismo, la donna rischia di non riuscire a capire che cosa stia accadendo. Non trovando motivazioni agli episodi di aggressività e violenza può manifestare paura, angoscia e timore di non
essere mai abbastanza per il partner, fino a sentirsi così responsabile delle difficoltà del rapporto da perdere il piano della realtà proprio a causa del senso di colpa. La possibile complicità tra vittima e carnefice è ovviamente legata soprattutto al sentimento di subalternità che, avendo un’origine storico-culturale, viene interiorizzata con conseguenze significative a livello psicologico. Evidenziare questa problematica complessa non significa colpevolizzare la vittima per gli abusi che è costretta a subire, ma vuol dire renderla consapevole sia del fatto che la violenza e la sofferenza che ne derivano potrebbero essere evitati, sia che un uomo violento non cambia con l’amore di una donna, ma solo conquistando coscienza del proprio problema e, spesso, solo affrontandolo con un intervento psicoterapeutico.

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