La sindrome della capanna non è un vero e proprio disturbo mentale. Si tratta, piuttosto, di una sindrome che comporta il desiderio di continuare a rimanere in casa propria, al sicuro, e a non voler più uscire per paura che possa accadere qualcosa di molto grave. La causa sarebbe da ricercare nei lunghi periodi di isolamento, come per esempio quello dovuto a malattia, ad un lungo ricovero o, per fare un esempio più attuale, alla pandemia del Coronavirus che stiamo ancora affrontando.

Stavamo tutti aspettando la fase 2, abbiamo fatto il conto alla rovescia per arrivare al 4 maggio, avevamo tutti il desiderio di andare a fare una passeggiata per respirare un pò di aria fresca ed esporci un pò al sole. In molti hanno affrontato questa nuova fase senza tanti problemi ma, in altrettanti casi, la voglia di uscire e di sentirsi più liberi si è mescolata con la paura e la preoccupazione di affrontare un nuovo cambiamento verso qualcosa di ignoto.

È ormai noto come le nostre case siano diventate il luogo in cui sentirci al sicuro e al riparo dal virus. Nelle nostre case abbiamo imparato a trascorrere le giornate stabilendo delle nuove routine e il pensiero che adesso, giunti alla fatidica fase 2, dobbiamo lasciare la nostra casa per riprendere in mano le nostre vite,  in un mondo pieno di insicurezze e incertezze ci destabilizza. Inoltre, in molti casi,il lockdown ci ha obbligato a rallentare, ci ha insegnato a stare con i nostri cari, a riscoprire la nostra casa, a reinventarci e molte persone che hanno vissuto bene questo periodo di isolamento, potrebbero trovare particolarmente complesso il rientro nella stressante e caotica vita quotidiana.

Ma come possiamo fare per superare la paura ed affrontare la sindrome della capanna in modo adattivo?

La paura è un emozione potente e dobbiamo tenere ben presente che non è un male provare paura perché questo stato emotivo è capace di renderci responsabili e prudenti. La paura, quindi, non va combattuta, non bisogna allontanarla, altrimenti peggioreremo la situazione rischiando di farci paralizzare da essa.

Il primo passo da compiere, quindi, è quello di accettare la paura e affrontarla, provando a fare le cose in modo graduale, iniziando a reintrodurre quelle attività che prima della pandemia erano piacevoli (fare una passeggiata, andare a trovare i familiari e tutte le attività regolate dalla normativa vigente) con le dovute precauzioni, cercando di avere una visione in prospettiva. Se la paura è troppa potremmo provare ad affrontare il mondo esterno compiendo piccoli passi, ad esempio, il primo giorno potremmo provare solo a mettere i piedi fuori dal portone di casa e poi rientrare. Il giorno seguente potremmo provare a spingerci più lontano, magari ponendoci un obiettivo con lo scopo di distrarci dalla paura. Il giorno dopo ancora, potremmo andare più lontano, esponendoci così al mondo esterno in modo sempre più graduale.

Un ulteriore passo da compiere è quello in cui dovremmo imparare a differenziare la reale possibilità che possa accadere qualcosa di grave dalla probabilità, o dalla certezza, che questa possa realmente concretizzarsi. Sostanzialmente, la paura ci fa credere che fuori dalla nostra casa possa accaderci qualcosa di brutto, come l’essere contagiati, ad esempio, ma in realtà non è detto che possiamo realmente essere contagiati. Si tratterebbe di una possibilità e non di una certezza. Ovviamente non dobbiamo minimizzare la situazione ma dobbiamo sforzarci di capire che se utilizziamo le protezioni in modo corretto e rispettiamo le normative la possibilità di essere contagiati è del tutto remota.

Un altro passo da compiere è quello in cui dovremmo cambiare punto di vista, cercando di eliminare i pensieri disfunzionali e catastrofici sostituendoli con altri pensieri più razionali. In questo modo riusciremo a convivere con il virus in modo più adattivo. Ad esempio, potremmo pensare che molte persone hanno contratto il virus ma lo hanno superato stando in isolamento in casa propria, senza dover per forza andare in ospedale e che, in molti casi, le persone contagiate non erano in pericolo di vita.

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